Che differenza c'è tra uno psicanalista e un altro psicologo? Cos'è la scuola sistemico-relazionale e in cosa si differenzia dalla scuola cognitivo-comportamentale? In psicologia esistono differenti approcci, ognuno dei quali può o meno dare luogo a una scuola di specializzazione, con una sua prospettiva sulla sofferenza psichica e un differente metodo di lavoro terapeutico. Andiamo a vedere insieme quali sono i principali approcci della psicologia clinica odierna, cosa li differenzi e cosa li possa accomunare

Per diventare psicologo è necessario conseguire una laurea magistrale in psicologia, aver svolto il relativo tirocinio e iscriversi all'albo A degli psicologi. Compiuti questi passi, il nostro laureando è divenuto a tutti gli effetti psicologo. Dopo, potrà proseguire gli studi per divenire psicoterapeuta con una scuola di specializzazione, e allora si porrà il dilemma: con che indirizzo? Che tipo di approccio vorrà seguire con il paziente, cosa vorrà approfondire e come vorrà gestire le sedute? Questi problemi si pongono in realtà già nella pratica clinica del semplice psicologo, che per propria formazione personale tenderà a impostare i colloqui con una forma mentis piuttosto che con un'altra. La psicologia ha infatti al suo interno differenti correnti, diversi filoni che diversificano sia gli obiettivi sia i metodi di intervento. Insieme in questo articolo andremo ad esplorare i principali.
Paziente sdraiato sul lettino e psicologo seduto dietro di lui che prende appunti; quando si pensa alla seduta psicologica, nell'immaginario comune si dipinge questa scena. Eppure, questa configurazione non è né la più frequente né la più recente, ma appartiene all'approccio introdotto da Freud e dalla sua psicanalisi. La prospettiva psicoanalitica ha dato vita al modello psicodinamico. Come suggerisce il termine stesso, gli psicologi che seguono questo modus operandi si focalizzano sulle differenti dinamiche che agitano l'interno della psiche, analizzandone i moti e i contrasti. Immaginiamo un oceano in cui è possibile rinvenire differenti correnti: queste si possono scontrare, possono dare origine a vortici, o a onde anomale, o ancora a flussi che trasportano l'ignaro nuotatore da una parte o dall'altra, senza che sulla superficie possa scorgere nulla. Con questa metafora, potremmo riassumere i principali assiomi di questa scuola: qui ne dipaneremo i nodi brevemente, mentre in un articolo più approfondito si andranno a enucleare i suoi elementi principali. Ereditandone i concetti da Janet, Freud teorizzò l'esistenza di tre livelli di coscienza nella sua prima topica: inconscio, preconscio e conscio. Nella nostra metafora, l'inconscio sono i metri d'acqua sotto il nostro nuotatore, il preconscio l'acqua che questi sfiora e muove costantemente con le sue bracciate mentre il conscio è la superficie visibile. Chiunque di voi sia mai andato al mare, saprà che la maggior parte dell'acqua si trova al di sotto, che è invisibile nelle sue profondità e che i principali pericoli emergono proprio dai suoi abissi, sia in termini di animali sia in termini di correnti. Così è per l'inconscio, sede di tutte le più grandi spinte nell'uomo, spesso ignote, eppure tanto potenti da poter affondare chi vi nuota sopra. L'analisi dei moti delle correnti subacquee è proprio l'obiettivo della psicodinamica, Per ogni livello, abbiamo un re: Poseidone controlla i fondali, Nereo e Tritone prediligono le acque superficiali mentre Zeus dall'alto vede e giudica; così l'inconscio è dominato dall'Es, che si muove secondo il principio di piacere, l'Io tenta di carpirne i messaggi come Tritone e mantenere il mare calmo come Nereo e il Super-Io giudica l'Io nelle sue azioni costantemente, decretandone il plauso o la condanna ferma. Dalle opposizioni tra questi tre agenti nascono le principali nevrosi, mentre l'Io mette in atto tutti i meccanismi di difesa (che verranno approfonditi in un articolo apposito) che conosce per poter mantenere il mare calmo, difendendosi dalle correnti sotterranee dal basso o dai venti che lo agitano dall'alto. Lo psicanalista tenta di comprendere quali siano le correnti che scuotono il paziente, per poter poi aiutarlo a riequilibrarle, facendo sparire il sintomo.
A questo modello potremmo dire si opponga diametralmente l'approccio comportamentista. Sebbene prenda le mosse dagli esperimenti di Pavlov, il primo a introdurre in termini stretti il comportamentismo in psicologia fu senza dubbio Watson. Pavlov notò che associando l'arrivo del cibo al suono di una campanella in modo costante portava dopo un po' i cani a salivare al semplice sentire il suono dello strumento, senza che vi fosse traccia di carne. A uno stimolo incondizionato (la carne) veniva sostituito uno stimolo condizionato (la campanella) producendo una risposta che passava da incondizionata (salivazione per la carne) a condizionata (salivazione per il suono della campanella). Questo processo prende il nome di condizionamento, ed è alla base dell'approccio comportamentista. Watson si convinse che l'unica variabile veramente studiabile e modificabile dell'essere umano fosse il comportamento; il contenuto dei pensieri era inaccessibile e il modificarli conseguentemente diveniva pura vanagloria. Ma la sua fiducia nella tecnica del condizionamento lo portò ad asserire:
"Datemi una dozzina di bambini sani, ben formati, e il mio mondo per crescerli. Vi garantisco che li prenderò a caso e li allenerò a diventare qualsiasi tipo di specialista vogliate - medico, avvocato, artista, mercante, capo, persino mendicante o ladro, indipendentemente dai loro talenti, inclinazioni, tendenze, abilità, vocazioni e razza dei loro antenati".
Questa affermazione così sicura derivava da uno dei più tristi esperimenti mai condotti: quello sul piccolo Albert; non lo approfondirò qui, ma se sei interessato, presto pubblicherò un articolo in merito. Dalle premesse gettate da Watson, un altro gigante della psicologia desunse la base dell'approccio comportamentista odierno: Skinner. Questi notò che premiando un comportamento in dei topi e punendone un altro, otteneva il rinforzo del primo e l'inibizione del secondo. Dedusse dunque che si poteva condizionare non solo una semplice risposta fisiologica, ma un intero comportamento: nacque il condizionamento operante e con esso il modellamento del comportamento. Ad oggi, l'approccio comportamentale tende a focalizzarsi principalmente sui comportamenti disfunzionali e a inibirli, favorendone invece altri; lasciando però da parte l'analisi del pensiero e delle emozioni. Questa carenza è recentemente stata compensata dall'unione con il cognitivismo, dando vita all'approccio cognitivo-comportamentale.
Il cognitivismo fa udire i suoi primi vagiti al mondo abbastanza recentemente, più o meno a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, non a caso in concomitanza delle rivoluzioni informatiche. Nell'avvento dei computer alcuni psicologi pionieri scorgono una prospettiva inaccessibile sino a quel momento: simulare su di esso il pensiero umano attraverso alcune regole logiche introdotte in linguaggio di programmazione. Così, l'informatica si congiunge alla psicologia trasformando la scatola nera inaccessibile dei comportamentisti in un argomento studiabile scientificamente. Non è di interesse in questa sede ripercorrere la storia di questa affascinante corrente, che verrà scorsa con attenzione sia in un articolo dedicato alla storia della psicologia sia in uno specifico riferito a questo paradigma: il panorama degli scienziati che si sono mossi in questo frame è vastissimo e il solo elenco di nomi costituirebbe una digressione ingiustificabile in questo articolo. Interessante è però una disamina del metodo cognitivo. Ipotizziamo che il pensiero di Luca, all'apparenza casuale, sia in realtà descrivibile secondo specifiche regole. Per esempio, supponiamo che la sua fuga assurda davanti ai ragni abbia invece alla base specifici pensieri, a loro modo logici, per esempio "il ragno è velenoso, veloce e piccolo - dunque se mi morde mi fa male, non posso scappare e non lo vedo - ora il ragno mi verrà incontro - scappo". Poiché è una catena logica, posso ricambiare reale una simulazione su un computer, dando un comando del tipo "se velenoso, veloce e piccolo, allora fuga - ragno velenoso, veloce e piccolo, allora fuga". Se i pensieri di Luca sono comuni a tutti gli aracnofobici, posso prevederli con una catena logica al computer rendendoli non solo studiatili, ma prevedibili, e dunque trattabili. Il cognitivismo si occupa proprio di questo: andare a sondare e analizzare gli schemi di pensiero del paziente, comprendendone insorgenza, logica interna e funzionamento per poi ristrutturarli in un apparato di pensiero più funzionale e adattivo rispetto all'ambiente. E' propria del cognitivismo in un certo senso una visione costruttivista, secondo la quale l'individuo costruisce in un certo senso la sua realtà agendovi all'interno. La sua fusione col comportamentismo ha dato vita a un approccio che si propone di trattare sia il versante del comportamento, modificando le azioni del paziente, sia su quello del pensiero, consolidando il comportamento "sano" con pensieri coerenti con esso.
Alcuni studiosi si sono resi conto che l'individuo non è però considerabile avulso dall'ambiente: le mosse di ognuno di noi prendono vita all'interno di relazioni che di fatto sono costantemente attive in ogni istante della nostra vita. La nostra identità stessa si forma nella fittissima rete relazionale che delinea e disegna i nostri aspetti personali, dai primissimi rapporti coi genitori fino ai tardivi legami sentimentali, amicali o lavorativi. La constatazione che lo studio dell'individuo abbia come fattore imprescindibile il suo ambiente e la convinzione che agire sull'ambiente sia agire sul paziente hanno consentito la nascita dell'approccio sistemico-relazionale. Da questa prospettiva, curare il paziente vuol dire curarne le relazioni o gli schemi relazionali, incidendo sull'individuo nel contesto e, se possibile, sul contesto stesso. Nato dall'influenza della cibernetica e dalla teoria dei sistemi, questo modello non considera più il sintomo in una visione lineare di causa-effetto, am secondo un'ottica circolare, in cui il sistema agisce sull'individuo che a sua volta con le sue azioni va a modificare il sistema stesso, creando un circolo, uno schema a feedback che può essere tanto virtuoso quanto disastroso. Facciamo un esempio. Luca cresce in una famiglia che lo convince di essere un buono a nulla; interiorizzata questa credenza, Luca non studia e non lavora, convinto che tanto non servirà a niente essendo un buono a nulla. Tali comportamenti rinforzano la credenza dei genitori, che non mancano di farglielo notare, rinforzando a loro volta le convinzioni del figlio. E' facile per il lettore scorgere il feedback negativo e il loop distruttivo insito in queste dinamiche, così come è altrettanto evidente che la stessa dinamica potrebbe dare vita a un circolo virtuoso. In questo caso, l'approccio sistemico-relazionale va ad agire sulle dinamiche derivate dalla famiglia e se possibile sull'intero sistema familiare, per spezzare il circolo e crearne uno nuovo e più salubre.
La psicologia della Gestalt nasce nei primi del Novecento con personalità quali Kohler e Wetheimer con l'intento di studiare le percezioni umane, come esse si formino e con quali regole; note a tutti sono le illusioni ottiche, spesso utilizzate da questi studiosi per analizzare le regole di percezione. Non si tratterà in questo articolo di questo interessante argomento, che costituirà un articolo a sé, ma è utile allo scopo di questo trafiletto vederne l'applicazione clinica. La disamina della percezione dell'individuo non si limita infatti alle mere configurazioni visive, ma può estendersi all'intero ambiente e all'intero individuo. E' proprio di questo approccio la disamina delle proprie sensazioni, del proprio vissuto e di come l'ambiente venga registrato dalla persona. L'analisi di questi elementi può portare alla luce convinzioni fino a quel momento rimaste latenti, emozioni represse e finanche presunzioni sul mondo circostante; compito del gestaltista, tramite un'opera maieutica, è la ristrutturazione di una configurazione di sé nell'ambiente dolorosa.
In un solo articolo è pressoché impossibile restituire l'enorme ricchezza di metodi, obiettivi e approcci tuttora vigenti nel vasto universo della psicologia clinica. Ne deriva di necessità che molte prospettive siano state trascurate e che quelle prese in esame lo siano state solo in modo approssimativo. Mi scuso pertanto per queste mancanze. Spero ad ogni modo di aver restituito se non un quadro fedele, quantomeno una lieve infarinatura sui principali paradigmi di riferimento nell'ambito della psicologia clinica. Ognuno di essi verrà approfondito in articoli che potrete trovare in questa sezione del blog. L'obiettivo di questo articolo non era e non può essere quello di essere pienamente esaustivo, ma solo di dare in dono al lettore una bussola con la quale orientarsi nei vari approcci terapeutici e, perché no, uno strumento valido per poter scegliere quello per sé più congeniale. Spero di esserci riuscito.
Se non vuoi perderti altri articoli come questo, rimani aggiornato su questo sito.
A presto!
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